Pom Poko: una riflessione sull’agency animale nell’antropocene

By Eleonora Vecchi

11 Febbraio 2024

Nel film d’animazione “Pom Poko”, prodotto dallo Studio Ghibli, il regista Isao Takahata presenta una narrazione stimolante e originale che va oltre i confini di una visione antropocentrica del mondo. Lo spettatore è immerso nel punto di vista di una vivace comunità di tanuki, il cane procione giapponese (Nyctereutes viverrinus). Attraverso le lenti del pensiero ambientalista e antispecista, il film narra la lotta della comunità di tanuki contro la costante espansione dell’urbano e le conseguenti disconnessioni umane dalla natura e dalle sue forze.

Ambientato in Giappone alla fine degli anni ’60, la comunità di tanuki si trova minacciata dalla perdita del proprio habitat a causa del rapido sviluppo urbano nei sobborghi di Tokyo. Con il loro territorio sempre più ridotto di anno in anno, inizialmente la comunità si divide in lotte interne per le risorse e successivamente cerca di limitare la propria crescita demografica astenendosi dalla riproduzione. Infine, i tanuki giungono alla conclusione che la loro qualità di vita non può essere compromessa dall’ingiusta espansione umana. Desiderosi di preservare il proprio modo di vivere, i tanuki si impegnano strenuamente per proteggere la loro terra dall’avanzare dell’urbanizzazione. Sfruttando le loro abilità di trasformazione (in linea con la tradizione giapponese, i tanuki possiedono poteri di metamorfosi), essi intraprendono una serie di azioni di resistenza contro i progetti di costruzione

Sfruttando la loro capacità di trasformarsi in spiriti, cercano di spaventare gli operai edili nella speranza che gli umani riconoscano lo scontento degli spiriti della foresta causata della distruzione dell’habitat. I tanuki si trasformano così in veri attivisti che lottano per la loro esistenza e, di fronte alla mancanza di risultati delle loro azioni, passano a forme di resistenza più decise, sabotando, distruggendo attrezzature e persino ferendo operai. Tuttavia, nonostante gli sforzi, il processo di costruzione continua inarrestabile e i tanuki, ormai allo stremo, cercano aiuto presso un’altra comunità di cani procione. Quest’ultima comunità prospera ancora grazie al rispetto e alla reverenza dei loro vicini umani verso gli spiriti della natura, manifestati attraverso le forme che i tanuki assumono ritualmente. Con il sostegno degli anziani di quest’altra comunità, i tanuki si trasformano in spiriti e organizzano una sontuosa parata in città: un ultimo tentativo per richiamare l’attenzione sulle potenti forze vitali della natura.

Senza dubbio, pensano i tanuki, questo farà comprendere agli umani che le loro azioni stanno danneggiando gli ecosistemi e li porterà a prendere coscienza dei propri errori. Tuttavia, gli abitanti di Tokyo si differenziano nettamente da quelli delle aree rurali da cui provengono gli anziani tanuki. Questi cittadini sono completamente estraniati e indifferenti alla natura e ai suoi spiriti, e assistono allo spettacolo come se fosse una finzione. Un parco divertimenti locale non lascia passare l’occasione per rivendicare il merito di tale evento, mettendo così fine a qualsiasi dubbio sulla natura del fenomeno.

I tanuki hanno fallito. Le costruzioni non si fermeranno.

Senza altre alternative, i trasformisti più esperti utilizzano i loro poteri per assumere le sembianze umane, mentre coloro che non possono trasformarsi rimangono nella loro forma di tanuki. I trasformati cercano di mimetizzarsi il più possibile da umani, adottando le loro consuetudini, lavorando e cercando di integrarsi tra gli altri umani, ma a scapito di un costante affaticamento e di evidenti occhiaie. Quando sono troppo esausti, i trasformati rischiano di tornare alla loro forma di tanuki e per evitarlo devono ricorrere a caffeina e bevande energetiche, l’unico modo per tenere il passo con il ritmo di vita umano.

I tanuki che non possono trasformarsi in umani sono anch’essi costretti a vivere nella nuova area urbana, affrontando le difficoltà di esistere in un ambiente antropogenico, esposti a roadkilling e a innumerevoli altre incertezze. La storia si conclude con uno dei protagonisti, ora divenuto umano, che tornando dal lavoro avvista un gruppo di tanuki non trasformati giocare in un parco. In un gesto di spontanea gioia, abbandona momentaneamente la sua forma umana per unirsi ai suoi compagni e trascorrere una serata meravigliosa  con loro.

I tanuki che non possono trasformarsi in umani vivono anchessi nella nuova area urbana, affrontando le difficoltà di esistere in un ambiente antropogenico, incorrendo a roadkills e in innumerevli altri pericoli ed incertezze. La storia si conclude con uno dei protagonisti, ora umano, che torna dal lavoro e vede un gruppo di tanuki non trasformati giocare sull’erba in un parco. In un balzo di gioia, abbandona la sua forma umana per unirsi ai suoi compagni e divertirsi con loro per l’arco di una magnifica serata.

Agency animale in un mondo antropico:

L’animazione di Isao Takahata ha moltissime linee di analisi di cui qui ho deciso di non occuparmi. Tra le evidenti, il film rappresenta la perdita di connessione con la natura a causa dell’alienazione causata dallo stile di vita cittadino. Mentre gli umani prioritizzano la crescita economica e lo sviluppo tecnologico, trascurano l’interconnessione tra loro e il mondo naturale che una volta esisteva. L’antropocentrismo regna supremo, relegando gli esseri non umani ai margini della considerazione. La lotta tra antropocentrismo ed ecocentrismo, tra forze vitali e dominio umano sulla natura, è un tema comune nei film dello Studio Ghibli, come possiamo vedere in Nausicaä della Valle del Vento o nel La Principessa Mononoke.

Tuttavia, a mio parere, la caratteristica più originale di questo film è il suo meraviglioso focus sulla rivoluzione, sull’agency e la sulla resistenza degli animali in un mondo che costantemente li opprime. Infatti, lo sviluppo della storia stessa è resa possibile dall’agency che i tanuki reclamano. L’agency degli animali non umani è qualcosa che facilmente dimentichiamo, come mostrato in Pom Poko. Gli abitanti della città sono così disconnessi dalla natura, così dimentichi delle sue voci e manifestazioni, che non possono concepire che gli spiriti che spaventano gli operai edili e, successivamente, la parata degli spiriti, siano modi con cui il mondo naturale, attraverso i tanuki, parla loro.

Il film ci ricorda che il primo passo per permettere l’oppressione continua di una minoranza è silenziarli, negare le loro voci e dunque non rispondere alle loro rivendicazioni. Questo è esattamente ciò che accade quando gli umani ignorano le performance di trasformismo dei tanuki, anche se il loro significato è evidente per le persone più “superstiziose”. Nelle filosofie umaniste, l’agency del mondo non umano è vista come una fabbricazione di menti superstiziose e non scientifiche. Anche dopo aver avuto innumerevoli prove scientifiche che mostrano chiaramente le capacità cognitive delle menti animali, l’atteggiamento generale nei confronti dell’agency non umana è al massimo scettico. Assordati e accecati dall’antropocentrismo, non importa quante modifiche comportamentali gli animali selvatici facciano per segnalare il loro disagio, chiedendo attenzione a fronte dell’oppressione umana, la maggior parte del mondo è restia a fare spazio a coloro che pensano non avere una voce, e quindi una rivendicazione. Per la maggior parte della fauna selvatica, resistere senza essere assorbiti dalle attività umane è impossibile, e il film, a differenza delle altre produzioni dello Studio Ghibli, non ha un lieto fine. Gli habitat vengono distrutti ogni giorno, e gli animali selvatici vengono costretti nelle aree urbane. Quale tipo di vita offre la città alla fauna?

Nelle filosofie postumaniste, si compie uno sforzo significativo per capire come poter trasformare pragmaticamente le città per ospitare molteplici interessi e corpi, compresi quelli non umani. Esplorare come progettare città che possano migliorare la vita degli altri animali è una domanda che il film ci lascia, partendo dal fatto che ormai la distruzione degli habitat è ormai avvenuta. In Pom Poko, il tema delle città come geografie di oppressione per altri animali (sia quelli che lottano per sopravvivere sia quelli che prosperano troppo bene e quindi sono considerati parassiti) è chiaramente rappresentato attraverso la distruzione dell’habitat dei tanuki, la loro rimozione e i pericoli affrontati dai non-trasformati, come le roadkill. Nella scena finale, quando il protagonista tanuki-umano incontra di nuovo i suoi simili non trasformati, un cane procione chiede al tanuki-umano di convincere gli altri cittadini a creare un migliore habitat in città per gli animali che non possono trasformarsi. I trasformisti sono l’unico ponte che può comunicare il messaggio al resto della città, poiché gli umani accettano solo messaggi consegnati attraverso la propria voce umana. L’agency dei tanuki è anche evidente qui, attraverso il ruolo di messaggero del trasformista. Se parlerà con gli umani, è perché i tanuki lo hanno chiamato a farlo. (Ti ricordi, nelle tue scelte quotidiane, nel tuo attivismo, nella tua scrittura, che stai facendo queste cose perché l’agency di qualcun*, la voce di qualcun*, ti ha chiamat*?) Attraverso i loro sforzi collettivi, la comunità di tanuki sfida l’egemonia del dominio umano e afferma il loro diritto ad esistere in due momenti: prima, al di fuori delle aree umane, e poi, all’interno delle geografie antropiche a loro forzate. Le vite dei tanuki non saranno mai assimilate; infatti, neanche quelli in grado di trasformarsi vivono veramente come umani. A mio parere, una delle riflessioni fondamentali di questo film è la costtazione che gli animali non umani combattono ogni giorno per la loro esistenza, per una vita che, anche quando soffocata e uccisa dalle geografie urbane, si rifiuta di rinunciare a cercare di prosperare. I tanuki continuano a formare comunità, giocare, accoppiarsi e creare nuovi modi di vita. Nelle scene finali, la contrapposizione tra il tanuki morto per un incidente stradale e la danza gioiosa dei cani procione in un parco è emblematica del mondo che la fauna deve abitare. Essa dimora nell’ambivalenza di un’esperienza di vita condivisa da molte comunità rese minoritarie: respirano in una società non respirabile, corrono attraverso strade di morte, sono forzatamente rimossi dalle loro case e costretti a costruirne di nuove.

Alla fine del film, la comunità di tanuki viene violentemente catapultata nel mondo urbano senza possibilità di scelta. Tuttavia, non vengono mai assorbiti da esso; non perdono la propria identità potente solamente nel ruolo di vittime, ma affermano piuttosto l’agenzia delle proprie vite, un’agenzia spesso espressa proprio perché le loro vite sono negate. I tanuki continuano a creare gioia in mezzo alla morte e allo spostamento.

Questo film ci ricorda che tutti gli animali non umani hanno ancora la possibilità di prosperare, di creare il proprio futuro e le loro storie personali, e ci offre un ultimo appello all’azione basato su questa consapevolezza. Da un punto di vista post-umanista, le città e le aree urbane sono sempre geografie in cui gli animali non umani sono presenti. Non solo formano le proprie comunità, ma contribuiscono attivamente all’emergere di molteplici modi di navigare i nostri spazi condivisi. Partecipano a controculture umane in corso e la loro esistenza ci interpella e suscita profonde domande su cosa significhi vivere bene insieme. Essi illustrano la relazione tra colonizzatore e colonizzato, tra comunità oppresse e le strutture alienanti del potere e della biopolitica.  Pom Poko è un appello struggente ad ascoltare le richieste di coloro che non possono rinunciare alla vita, perché creare nuovi spazi di esistenza è l’unico ricorso quando si è oppressi dalla morte. Fermare questa oppressione è il nostro dovere. Rispondere alla loro voce sottolinea il riconoscimento della loro agency, il che ci richiede di smantellare l’umanesimo e l’antropocentrismo. Pom Poko ci chiede di abbracciare una posizione post-umanista nei confronti dei tanuki e della natura nel suo complesso.

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