“Lingua” or “Linguaggio”?

“Lingua” or “Linguaggio”?

Italian language distinguishes between linguaggio and lingua. Those have a different meaning and are used in different contexts. In English, it does not exist such a distinction. English speakers would use “language”, indicating “Italian language” or “musical language” (they would also say “programming languages”).

Italian speakers would say lingua italiana and linguaggio musicale, or linguaggio delle api, meaning bee’s communication. The word linguaggio is mainly used to indicate a system of communication that includes sounds, voice modulation (paraverbal language), gestures and facial expressions (nonverbal language). Additionally, there exist additional languages used for specific purposes, viz. programming languages (Phyton, Java, C++, etc.).

This “Italian” distinction is not found in all natural languages. For instance, it is not found in Dutch, Ukrainian, Russian, Estonian or Arabic. Arguably, only romance languages have it.*

Not to mention that non-human animals (henceforth animals) have a language indeed. Precisely, a symbolic communication they use to convey messages (even deceitful ones) to their counterparts (and not only to them). Animal symbolic communication (see Pepperberg, 2021) is extraordinarily complex insofar, for humans is untranslatable (Andrews, 2020, pp. 120–121) if they do not have any knowledge of it. Animal communication may include sounds (alarm signals**), gestures, and dances (i.e., the waggle dance). Several examples show fascinating animal symbolism: Andrews (2020) mentioned an example of solidarity. It was observed that whales beach themselves after one does *** (p. 8).

Although animals are not linguistically competent as it happens, they still communicate with each other. That is a form of intelligence.

One of the goals of Post-humanism is indeed to overcome the traditional idea of human supremacy over animals by admitting animal intelligence and sentience for many years denied. Alas!

*Please, post a comment if you know any other language that has this distinction!

**Marchesini (2022) wrote that animal alarm signals are not necessarily expressed through sound. They are also expressed through pheromones or chemicals (p. 105).

***See Whitehead and Rendell (2014).

 

 

 

 

References

Andrews, K. (2020). The animal mind. An introduction to the Philosophy of animal cognition (2nd ed.). London: Routledge. https://doi.org/10.4324/9780203712511

Marchesini, R. (2022). The creative animal. How every animal builds its own existence. London: Palgrave Macmillan Cham. https://doi.org/10.1007/978-3-031-07414-1

Pepperberg, I. (2021). Symbolic communication in the grey parrot. In A. Kaufman, J. Call & J. Kaufman (Eds.), The Cambridge handbook of animal cognition (pp. 56–73). Cambridge: Cambridge University Press. https://doi.org/10.1017/9781108564113.005

Whitehead, H., & Rendell, L.Rendell. The Cultural Lives of Whales and Dolphins. Chicago, IL: University of
Chicago Press, 2014.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vita e processo

Vita e processo

Ben poche volte si è mancato di far notare nelle scienze della vita e degli organismi come l’osservazione delle numerose forme viventi che popolano il pianeta, delle loro diversità e similitudini, consonanze e divergenze morfologiche, dei loro rapporti con gli ambienti in cui si trovano a vivere, e ancora maggiormente il loro studio, che consente l’accesso alle strutture fondamentali e minute dei corpi, mettano in luce un eccezionale grado di unità e di compatibilità. Infiniti sono gli esempi di organismi, o parti di questi, che appaiono perfettamente organizzati per la vita che conducono: le strutture alari degli uccelli e degli insetti, gli occhi adattati degli animali notturni, le qualità idrodinamiche di molte creature acquatiche; nel regno vegetale si riscontrano continuamente geometrie, rapporti matematici, equilibri, distribuzioni.

Simili osservazioni possono condurre all’impressione – ben lontana dall’essere stata ignorata storicamente – che vi sia in queste forme un carattere di completezza, diremo meglio, qualcosa di eminentemente concluso. Scegliamo di impiegare questo termine, in virtù della sua immediata capacità riassuntiva, per designare una forma – o un sistema – immutabile e fissa, perché progettata nel modo in cui si presenta all’osservatore o perché corrispondente ad un archetipo; in ogni caso, priva della possibilità plastica di modificare se stessa o la propria discendenza nel corso del tempo. Una forma, cioè, realizzata, e dunque conclusa, compiuta e perciò incapace di compiersi ulteriormente.

Questo modo di intendere la realtà vivente è proprio, ad esempio, anche se non esclusivamente, delle interpretazioni creazioniste, che noi raccogliamo in un senso ampio e generale, dal momento che esse comprendono in realtà una serie di posizioni variegate, alcune delle quali, soprattutto dopo la seconda metà del diciannovesimo secolo e per tutto il ventesimo, ammettono l’evoluzione delle specie (es. Teilhard de Chardin. In generale, sui rapporti tra evoluzionismo e teologia cattolica cfr. Molari 1984; sulla disputa tra evoluzionismo e creazionismo nell’età di Darwin cfr. Casini 2009), e alcune che, in secoli più remoti, non furono comunque insensibili a problemi di difficile soluzione teologica, come la presenza negli strati fossili di resti di creature decisamente distanti da quelle attuali (una su tutte, la teoria delle catastrofi sostenuta da Cuvier nel Discours sur les révolutions de la surface du globe del 1812, per cui il pianeta avrebbe subìto una serie di sconvolgimenti geologici al termine dei quali la vita sarebbe stata, di volta in volta, creata nuovamente). Noi ci limitiamo ad intendere il creazionismo entro una formula generica e accostabile a quella presentata da Paley nella Natural Theology (1802), in cui le specie appaiono immutabili e statiche, “concluse” perché create ab initio da una volontà che pensa e dice(1) la propria Creazione e la dispone provvidenzialmente, in ogni sua parte, alla vita materiale.

L’evoluzionismo introduce, al contrario, il principio del trasformismo delle specie. La teoria classica, darwiniana, prevede che la discendenza degli organismi si modifichi in risposta a certe pressioni ambientali. Il rapporto tra l’organismo e l’ambiente in cui questo si trova produce un esito selettivo che nel corso del tempo e delle generazioni conduce alla trasformazione degli organismi stessi nelle loro qualità genetiche, morfologiche ed etologiche. In questo processo, ininterrotto e privo di direzionalità, giacché dipendente da una serie aleatoria di eventi, nessuna forma è mai dunque definitivamente conclusa, ovvero fissata nel tempo – nel senso creazionistico che abbiamo visto. La relazione tra organismo e ambiente è di natura evidentemente circostanziale, e una volta stabilita una simile interpretazione dei fatti relativi alla discendenza le difficoltà teoretiche che si incontrano nel tentativo di risalire ad una sorta di disegno originario sono notevoli. Se si considerano la natura e il sistema dei viventi come privi di progetto, a risentirne è il concetto stesso di conclusione, il quale è tolto dall’inizio. In Darwin il principio della selezione naturale sostituisce l’argomento teologico-finalistico: «Oggi, dopo la scoperta della legge della selezione naturale, cade il vecchio argomento di un disegno nella natura secondo quanto scriveva Paley […]. Non si può più sostenere, per esempio, che la cerniera perfetta di una conchiglia bivalve debba essere stata ideata da un essere intelligente, come la cerniera della porta dall’uomo» (Darwin 2016, 69). Così, l’interpretazione fissista, che pensa l’immutabilità delle specie nel tempo, viene corretta da una visione genealogica del mondo vivente. In questa, la vita e i suoi accadimenti si presentano alla maniera di un processo.

Tale scoperta, che storicamente si traduce in una presa di coscienza circa il fatto che il sistema degli organismi possiede una propria logica e un proprio funzionamento intrinseco (e che non si limita, dunque, a rispecchiare una disposizione dettata dall’esterno), ha dovuto imporre una prospettiva e nuove direzioni di ricerca ad una serie di problemi su cui tanto la filosofia, quanto le scienze naturali si sono a lungo soffermate, e che anche precedentemente non erano stati ignorati: tra i molti, il problema del determinismo e della libertà dell’agire, della percezione e dell’esperienza, dell’origine delle facoltà cognitive e del senso estetico, e non da ultimi i dilemmi teologici relativi al senso della vita nel suo complesso, e tra questi, ancora, quelli legati alla vita precedente alla comparsa della nostra specie. Nel caso specifico dell’essere umano si trovano interrogate direttamente tutte le questioni che ricadono sotto il dominio dell’antropologia filosofica, a partire da come debba essere inteso il fatto puro della presenza umana nell’ordine delle cose naturali. Quando si voglia compiere sull’uomo un discorso sistematico, comprensivo di tutto quanto è necessario dire affinché se ne possa ottenere una conoscenza completa al massimo delle possibilità, come se visivamente lo si inquadrasse in un campo largo, e specialmente laddove si voglia discutere la questione vitale della sua posizione nel mondo e nel cosmo, il riconoscimento di questa dimensione evolutiva non può essere eluso.

 

(1) Ci riferiamo all’espressione «Dio disse:» contenuta nella Genesi  (Gn 1, 1-30), in cui l’atto creativo è sempre preceduto dalla sua affermazione.

 

Riferimenti:

P. Casini, Darwin e la disputa sulla creazione, Il Mulino, Bologna 2009.

C. Darwin, Autobiografia (1809-1882), Einaudi, Torino 2016.

C. Molari, Darwinismo e teologia cattolica. Un secolo di conflitti, Borla, Roma 1984.

Don’t underestimate octopuses!

Don’t underestimate octopuses!

Andrews (2020) defined non-human animals (henceforth, animals) as being minded. The professor claimed that it doesn’t exist a unique mind (p. 8), as changes occur (i.e., trauma injuries), some of which are inevitable (i.e., ageing) (ibid.). She maintained that animals, as well as humans, are minded indeed. It doesn’t exist a unique intelligence either (see Gardner (1983)’s theory of multiple intelligence). Depending on their needs, animals are good at different things and have different complex capacities (i.e., learning, problem-solving, planning, memory) (Godfrey-Smith, 2016, pp. 50—51).

So do octopuses! For instance, they are able to “see” colours through the reflection on their skin. Namely, they can distinguish colours through the brightness reflected on their skin (ibid., pp. 119—121). Octopuses have millions of neurons* in their tentacles “which can […] taste and touch and also control motions” (ibid., 2017, § 1).

Even though primates are more similar to humans, they are not the only ones. Between humans and dogs, there is a phylogenetic distance, yet they are socially similar. In contrast, reptiles and xenarthras are judged to be the least similar ones (Urquiza-Haas and Kotrschal, 2022, p. 234**).

Although octopuses are not as similar to humans as other animal species, we still have a common (very distant) ancestor (Godfrey-Smith, 2017, § 4). Octopuses are “smart”—Godfrey-Smith (2016) is reluctant to use that term. To be more specific, they own complex cognitive processes (i.e., memory, recognition, exploration, discrimination, and learning) (ibid., 2017). Like other animal species, they are able to acquire information and use it under certain circumstances (Rossano and Kaufhold, 2021). They aree not “dumb” species whatsoever. Nevertheless, not everyone is convinced of the idea that animals are sentient beings that share similarities with humans; not in terms of linguistic competence, though. Animals are not linguistically competent as it happens, but still, they are intelligent.

Dupré (1996) said that intelligence doesn’t necessarily require language possession (p.331). Animals, through behavioural manifestations (i.e., the waggle dance performed by bees indicating the distance of the nectar source; see Wynne & Uoleil, 2013 for more details) or sounds (i.e., signals for warning; see Rossano and Kaufhold, 2021) communicate with their counterparts. That is still a medium to convey messages (Glock, 2000, p. 43). And octopuses know how to do that!

 

 

*close to dogs’ number (Godfrey-Smith, 2017, § 6).

**The similarity was rated by taking into account cultural origin [p. 230])

 

References

Andrews, K. (2020). The animal mind. An introduction to the Philosophy of animal cognition (2nd ed.). London: Routledge. https://doi.org/10.4324/9780203712511

Dupré, J. (1996). The mental lives of nonhuman animals. In M. Bekoff & D. W. Jamieson (Eds.), Readings in animal cognition (pp. 323–336). Cambridge, MA: MIT Press.

Gardner, H. (1983). Frames of mind: The theory of multiple intelligences. NY: Basic Books

Glock, H.-J. (2000). Animals, thoughts and concepts. Synthese, 123(1), 35–64. https://doi.org/10.1023/A:1005295521736

Godfrey-Smith, P. (2016). Other minds. The octopus and the evolution of intelligent life. NY: Farrar, Straus and Giroux

Godrey-Smith, P. (2017, January 1). The mind of an octopus. Scientific American. Retrieved March 27, 2023, from https://www.scientificamerican.com/article/the-mind-of-an-octopus/ (Originally published in SA Mind, 28(1), 62—69, January 2017)

Lage, C. A., Wolmarans, D. W., & Mograbi, D. C. (2022). An evolutionary view of self-awareness. Behavioural Processes, 194(4), 1–11. https://doi.org/10.1016/j.beproc.2021.104543

Rossano, F., & Kaufhold, S. (2021). Animal communication overview. In A. Kaufman, J. Call & J. Kaufman (Eds.), The Cambridge handbook of animal cognition (pp. 5–35). Cambridge: Cambridge University Press. https://doi.org/10.1017/9781108564113.003

Wynne, C. D. L., & Udell, M. A. R. (2013). Animal cognition. Evolution, behavior and cognition (2nd ed.). UK: Palgrave Macmillian.